Di Rebecca ce n’è stata una

Da Rebecca – La prima moglie a Rebecca versione Netflix: l’inutile ma benfatto remake.

Le riprese di Rebecca – La prima moglie di Alfred Hitchcock iniziarono nel settembre del 1939, proprio quando Adolf Hitler occupando da Occidente la Polonia faceva scoppiare la seconda guerra mondiale. Erano anni tormentati in Europa e l’inglese Hitchcock capì che non si metteva bene, così si traferì a Los Angeles (1938).

Fu il suo primo film in terra americana, ma con un cast quasi tutto inglese. A Vivien Leigh preferì Joan Fontaine, sorella minore di Olivia de Havilland, che accanto alla Leigh aveva appena finito Via col vento. La cui prima sarebbe stata proprio nel dicembre di quello stesso anno d’inizio guerra e riprese. Travagliate e tormentate in egual misura, entrambe molto belle e iconiche, Alfred Hitchcock rimase attratto più dall’ingenua freschezza, per quanto elusiva, di Joan Fontaine. Non dovette pentirsene, visto che lui Vivien Leigh non la scelse neanche in futuro: Hitchcock intravedeva le sue protagoniste se l’ambiguità femminile emergeva tra le pieghe, soffusa, non diretta come nell’enigmatico e arcigno volto della Leigh. Il film fu un successo negli Stati Uniti e solo dopo la guerra arrivò in Europa, quando fu scelto da Alfred Bauer per aprire al Titania-Palast la primissima edizione del Festival di Berlino (1951).

Ottant’anni dopo, nell’estate del 2019, sono iniziate le riprese di Rebecca prodotto da Netflix (foto in alto di Kerry Brown/Netflix – © 2020) che si guarda bene dal definirlo rifacimento, quanto film tratto dall’omonimo romanzo di Daphne du Murier (1938) alla base di entrambe le versioni. Se ne saranno pentiti quando era troppo tardi. A far traballare la pura casualità di una scelta tra tante, sta lo scadere di un esatto Ottantesimo, dall’inizio delle riprese del primo e più grande di Hitchcock rispetto all’ultimo arrivato di Ben Wheatley. Ciò attesta il film come improvvido remake. Quanto alla differenza dei titoli tra le versioni, ci sarà utile per distinguerli nel confronto, oltre che una volta e per sempre.

Un film è il ritratto della sua epoca, è la manifattura a dircelo. Ne traiamo amara comprova dal paragone tra i due Rebecca dopo averli visti in sequenza.

People: Joan FontaineJudith Anderson Foto: Rebecca United Artists 1940. 

Faccia lo stesso esperimento il lettore di questo articolo, spendendo quattro ore del proprio tempo. Entrambi i film durano appunto poco più di due ore. Se cliente Netflix, guardi prima Rebecca – La prima moglie (un’ottima versione in italiano c’è gratis su YouTube) e poi prosegua col Rebecca della piattaforma a pagamento.

Al “dove siamo finiti?” di Netflix risponde invece il “dove eravamo” di Alfred Hitchcock. Il suo film si apre come una favola romantica noir e fedele al libro della du Murier, con la descrizione del proprio sogno da parte della protagonista che fuori campo dice: “Sognai l’altra notte che ritornavo a Manderley”. È il prologo che fa dell’incubo la proiezione del pubblico nell’incanto: un chiaro di luna, un sentiero tortuoso tra oscure selve, un cancello di metallo per sempre chiuso ora attraversato, come da un fantasma nel sogno e in fondo le rovine di un castello abbandonato. Non siamo ancora all’Hitchcock di Psycho (1960) con la casa di Norman Bates, pesante e sinistra, a farci temere chi l’abiterà. Qui, con Rebecca, siamo più al miraggio che si dissolve e dal passato ci porta a quando tutto è iniziato. A Monte Carlo, dove un’ingenua e per quanto fragile ma tenace dama di compagnia (Joan Fontaine) che non avrà un nome per tutto il film, incontra e si innamora di un aristocratico Maxim de Winter (Laurence Olivier).

Lei per lui abbandona tutto e in tutta fretta si farà sposare e portare a Manderley nel castello della grande tenuta di proprietà diventando la seconda signora de Winter. La prima era Rebecca, morta in un incidente in mare che incombe penetrante come una mania in coloro che l’hanno conosciuta e amata come donna perfetta e negli oggetti. Quelli che le sono appartenuti ovunque nel castello, incisi o ricamati, con un’unica imperante “R” stilizzata. Rebecca grava però come un fantasma nell’ossessione sinistra e estatica della governante Mrs. Danvers (Judith Anderson) ora a servizio della seconda signora de Winter e nel terribile rapporto col ricordo di lei del marito. Che lo rende complesso e misterioso, irascibile e tormentato.

People: Judith Anderson Foto: United Artists 1940.

Ciò è quanto si ripete nel più nuovo di Netflix, tranne per quel che concerne il sogno d’inizio. A interpretare la futura signora de Winter qui è Lily James mentre a fare Maxim e la governante sono Armie Hammer e Kristin Scott Thomas. Nomi di grido, apprezzati dal pubblico, che per carità saranno bravi ma pure schiacciati in un film che purtroppo non aggiunge nulla alla storia, perché non riesce a smarcarsi dal primo capolavoro. Siamo alla fastidiosa sovrapposizione.

In Alfred Hitchcock la seconda moglie è un personaggio perfettamente interpretato e simbolico, nel suo essere ondivago. In lei emerge il complesso d’inferiorità per il ritratto irraggiungibile di Rebecca. Si sente schiacciata da un confronto impari, non si arrende, prova a sostituirsi ma cede poi all’impulso inconscio di imitare Rebecca, convinta che questo desidera il marito, sennò perché l’avrebbe sposata? Hitchcock costruisce una visione della realtà in continuo mutamento, nel gioco delle ingannevoli parvenze. La realtà così è incombente come la vede la seconda signora de Winter, ma non è affatto come la percepisce. Questo è stato il Novecento, nell’arte e nella politica e romanzo e film coevi ne sono quintessenza. La velocità degli eventi, la dialettica storica acerrima tra realtà e ideale che preponderante corrose gli equilibri fino alle deflagrazioni belliche.

Il secondo Rebecca di Ben Wheatley resta immobile nell’assenza d’identità come la seconda signora de Winter frustrata dal confronto, mentre l’originale Rebecca – La prima moglie di Alfred Hitchcock sta al Novecento e ai suoi inganni. In buona sostanza: quando un remake seppur benfatto è fine a se stesso.

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